BENITO MUSSOLINI, l’emigrante romagnolo

In Romagna, Benito Mussolini da giovane, sembrava destinato a vivere una vita da emigrante, e poi, quando si è trasferito a Milano, dopo dieci anni, egli raggiunse la fama internazionale diventando primo ministro del regno d’Italia per più di venti anni. Nelle scuole italiane, i professori comunisti, presentano Mussolini come un personaggio scomodo e negativo ma, nel bene e nel male, è stato il protagonista di venti anni di storia italiana, fra le due guerre e ha dato una nuova organizzazione alle istituzioni del paese. Passa alla storia nel 1922 con la Marcia su Roma, quando è partito in treno da Milano per andare a fare il primo ministro, dopo aver fondato un partito politico. Come ha fatto a divenire protagonista del ventennio fascista; quando è partito per Milano, erano già morti anche i suoi genitori, da chi è stato aiutato.

Fino a ventisette anni, è stato un giovane squattrinato; svolgeva dei lavori precari e doveva emigrare in altre città a cercare lavoro. In Romagna non aveva fortuna, aveva pochi soldi, e forse non c’era un motivo per fondare un nuovo partito politico. Il padre di Benito era militante socialista, e lui è stato iscritto a quello socialista, fin da piccolo.

Per approfondire la storia di Benito Mussolini e la parte della sua vita in Romagna, si può leggere il libro di Antonio Spinosa «Mussolini. Il fascino di un dittatore»

La fondazione del partito politico, è stato un evento casuale, ma a Milano esistevano le idee e le condizioni storiche e ambientali, perché ciò potesse accadere e da quando i socialisti lo avevano chiamato a Milano a dirigere l’«Avanti!», la sua vita, e le condizioni sociali, cambiarono profondamente, ma aveva alla base una solida preparazione teorica e pratica, anche se “precaria”.  […]

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NOVECENTO, l’arte nell’Italia del Duce

Alfa webNOVECENTO, l’arte e la vita in Italia tra le due guerre, è il titolo di una mostra che si svolge a Forlì nei Musei San Domenico dal 2 febbraio fino al 16 giugno 2013. Sono presenti oltre 400 opere di varie tendenze artistiche del ventennio fascista, in gran parte quadri, provenienti da tutti i musei pubblici e privati d’Italia che rappresentano: l’arte di propaganda, la metafisica, il futurismo e particolarmente il gruppo “Novecento”, che fondò la collaboratrice e amante ebrea di Mussolini, Margherita Sarfatti in opposizione al Futurismo e nello stesso periodo della nascita del fascismo. Sono esposti i dipinti dell’epoca, i cartelloni pubblicitari, piccole riproduzioni dei monumenti più importanti dell’architettura fascista, libri, abiti, mobili, un film e una radio. La radio fu il mezzo di comunicazione più importante per quel periodo. Il cinema era considerato uno strumento di propaganda e persuasione delle masse. Il fascismo, voleva “riportare l’ordine” nell’arte, con il ritorno al passato, alla tradizione accademica e alle forme estetiche storiche, all’arte borghese. La mostra di Forlì ai Musei San Domenico, è la più grande, fra quelle che hanno trattato il tema dell’arte italiana fra le due guerre, ma è ancora troppo piccola, per rappresentare l’immagine reale e l’immensa retorica del regime.

«Dopo aver rilevato come anche nel Risorgimento, ai tempi in cui l’Italia era divisa, la sua arte era un privilegio e una gloria per essa, ha aggiunto che oggi, in cui tutte le condizioni più auspicate dai grandi italiani, e prima e fondamentale, l’unità, si sono realizzate, può svilupparsi nella nostra terra, una grande Arte che comprenda in sé e a sua volta informi, tutte le manifestazioni della vita, un’arte che deve essere tradizionalista e al tempo stesso moderna, che deve guardare al passato e al tempo stesso all’avvenire. Noi non dobbiamo rimanere dei contemplativi, non dobbiamo sfruttare il patrimonio del passato. Noi dobbiamo creare un nuovo patrimonio da porre accanto a quello antico; dobbiamo creare un’arte nuova, un’arte dei nostri tempi, un’arte fascista».

Questo aveva dichiarato Benito Mussolini, all’Accademia di Perugia. Il discorso, è stato pubblicato da Critica Fascista, n. 2 del 1926, aprendo un dibattito al quale hanno partecipato diversi esponenti della cultura: Soffici, Maccari, Bontempelli, Malaparte, Cecchi, Braglia. L’arte del regime, respinge le espressioni rinnovatrici e dinamiche del Futurismo e le avanguardie; è un’arte nazionalista e nello stesso tempo tradizionalista. La polemica sull’arte, non fu limitata a «Critica Fascista», proseguì anche sulla stampa italiana. Bontempelli, nel 1926, fondò la rivista “900” e dichiarava “Il Novecento, ci ha messo molto tempo a spuntare. L’Ottocento non poté finire che nel 1914. Il Novecento, non comincia che un poco dopo la guerra”. Non tutti sono d’accordo con Bontempelli, che voleva cancellare il periodo delle Avanguardie artistiche del Novecento, che inizia prima della fine dell’Ottocento, con Van Gogh, che segna la divisione fra i due secoli. L’arte del Duce, si può considerare del Novecento, ma è arte borghese e una delle tante espressioni d’arte di questo secolo.   […]

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